Ai confini della città storica

Il Monumento a Garibaldi di Brescia era stato inaugurato nel 1889, ben sette anni dopo la decisione presa in favore della sua erezione. L’idea era infatti nata lo stesso giorno della morte del condottiero, avvenuta il 2 giugno del 1882, ma impiegò quindi un bel lasso di tempo per divenire realtà. Una distanza che esprime tutta la complessità dell’evento: anni occupati da discussioni di opportunità politica, dalla raccolta popolare dei fondi (ogni paese della provincia partecipò alla sottoscrizione, che fruttò ben 70.000 lire del tempo), dalle decisioni in merito al luogo migliore ove collocare l’opera, idealmente pensato prima in Piazza Loggia poi in largo Rovetta e, finalmente, nel sito attuale.

Di mezzo c’era poi stata l’indizione del concorso, ad inviti, cui parteciparono quattro scultori non bresciani, fatto di per sè già fonte di accese polemiche: Trabucco, Bordini, Concetti e il vincitore Eugenio Maccagni. I quattro bozzetti vennero esposti al pubblico, ma quello del Maccagni non piacque a molti, e pur proclamato vincitore, lo scultore viene invitato a presentare un nuovo modello. Cosa che il Maccagni farà nel 1884.: é il monumento che tutti conosciamo, che impiegherà però altri cinque anni ad essere completato, venendo inaugurato da Giuseppe Cesare Abba appunto l’8 settembre 1889, nella sistemazione dell’insieme del noto architetto Antonio Tagliaferri.

Curiosa l’iscrizione del solo cognome. Semplicità che divenne bersaglio del poeta dialettale Angelo Canossi, che sospettava giustamente delle beghe sottese al monumento . Forse da buoni bresciani, di poche parole, bastava la sola dedica, senza fronzoli. Nel suo sonetto titolato “A Garibaldi” ricordava infatti come “L’epigrafe é di alcuni professori / che prima l’han mandata al gran Carducci / se per caso ci fosse qualche errori: / e quelli rispettati i capisaldi,/ ci tirò via gli errori e gli errorucci; / e c’è rimasto solo “A GARIBALDI”.

Il monumento diviene consapevole segnale di una vera, definitiva cesura col passato. La statua dedicata all’eroe dei due mondi traccia infatti il confine fra la città borghese (cui lo sguardo di generale e cavallo è obbligatoriamente rivolto) e la Brescia popolare ed operaia, che vegliata dal suo retro qui lavora, vive nei casermoni di Campo Fiera o delle Congreghe di via Carducci, o nelle casupole che da via Milano raggiungono il Mella.

Un confine nemmeno troppo immaginario: in via Milano le fabbriche ed un nugolo di piccoli artigiani di ogni genere, sul Corso negozi e caffè, con la torre della Pallata a far da greve sentinella. Ad unire solamente i funerali, diretti verso il cimitero monumentale Vantiniano, dove regna colei che tiene la falce e recide i fili del tempo. Da questa piazza avevano fatto la loro apparizione in città gli Imperatori d’Austria Giuseppe II nel 1769, Francesco I nel 1816 e 1825, Ferdinando I nel 1838, lo zar Nicola I di Russia nel 1846, Garibaldi e Vittorio Emanuele II nel 1859.

Il monumento viene ospitato dalla piazza ricavata dall’abbattimento della Porta detta di San Giovanni, altro il luogo del dinamico mutamento cittadino, ad iniziare dalla toponomastica: dopo diversi nomi, dal 1862 viene chiamata Porta Milano e dal 1909 Piazza Garibaldi. Ma tutto qui pare muoversi con frenesia nel giro di pochi decenni. Spariscono gradatamente gli spalti delle mura denominati “Gioco del pallone”, occupati già prima del 1910 dalla sede della Poliambulanza, sgombrato il mercato col venditore d’angurie, il faceto e compagnone suonatore ambulante di pianola e di verticale, il pitocco impagliatore di sedie, il rubicondo parolotto, l’ambulante di formaggi, grosso e stralunato.

Compaiono nel mezzo della piazza due eleganti caselli daziari neoclassici opera del bresciano Luigi Donegani (ingegnere presso la Regia Intendenza di Finanza austriaca), eretti nel 1844, cui erano collegati le cancellate daziarie poi eliminate nel 1908.

In questa immagine, datata 1929, sono iniziati i lavori per lo spostamento dei caselli daziari all’ingresso del Cimitero Vantiniano, dove sono ancora oggi visibili: il tetto dell’edificio di destra è già stato asportato. I binari del tram conducono al vicino deposito della municipalizzata, in via Rimessa Tram (oggi via Carlo Donegani).

Questa fotografia e le altre pubblicate su "bresciastorica.it" sono presenti nel libro fotografico "Brescia Antica" edito dalla Fondazione Negri.

Un commento

  1. baratterai says:

    Questo post mi trova completamente d’accordo. Generalmente il blog http://www.bresciastorica.it è redattorealmente come si deve, mi piace.
    Ben fatto, buona giornata.

    articolo decisamente interessante

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