Una fabbrica (di bombe) da 8.700 operai

L’immagine immortala la fine turno di un gruppo di operai della Metallurgica Bresciana Tempini in via Belgio (oggi in parte ospitante la sede del quotidiano “Bresciaoggi” e con l’area destinata ad accogliere il futuro Museo dell’Industria Musil). Siamo nel 1919 circa, ovvero con la Grande guerra appena conclusasi e durante la quale la Metallurgica aveva rivestito un ruolo importantissimo.

La Metallurgica Bresciana Tempini, sorta alle porte della città nel 1884 da capitali prima lumezzanesi e quindi anche tedeschi, è cresciuta – grazie a brevetti germanici – con significative forniture all’Esercito e alla Marina di proiettili e bossoli di vario calibro. Presieduta a lungo dal berlinese Isidoro Loewe e diretta da Giovanni Tempini, la sua vicenda è ricca di rivolgimenti societari e di ingenti produzioni belliche, avendo essa fra gli scopi sociali proprio “il produrre e commerciare materie e oggetti metallurgici, armi, munizioni da guerra e articoli affini”, cui lavorano nel 1888 ben 500 addetti.

Allo scoppio della guerra la Metallurgica Bresciana Tempini passa dalle 350 unità del 1915 ai 6.000 addetti della primavera 1916, sino agli 8.684 occupati dell’ottobre 1918, (1.608 militarizzati, 1.803 esonerati, 2.563 civili e 2.710 donne). I cataloghi aziendali – che recano l’iscrizione latina di Vegezio “Si vis pace para bellum” in un nastro scorrente fra una fila di proiettili da cannone – indicano del resto la presenza di una “Sezione armi” per la costruzione delle mitragliatrici Fiat, oltre che di bossoli “stirati di qualsiasi calibro”. Accanto, la “Sezione fonderie e laminatoi” per la lavorazione di tubi di rame, ottone ed alluminio, il reparto “fili e corde di rame elettrolitico” per linee tranviarie, telefoniche, telegrafiche e condotte elettriche.

Accanto alle armi, in azienda era attiva la sezione del proiettificio. Nel 1917 si costruivano ogive per granate da 76/40 e da 152, shrapnels da 75. Alla fine del conflitto l’organizzazione dei reparti aziendali rendeva perfettamente conto della raggiunta diversificazione produttiva di stampo bellico. Erano infatti attivi il reparto “caricatori” (795 addetti, di cui 455 donne), reparto “spolette” (1.058 addetti, 632 le donne), ben tre reparti “granate” siglati con le prime tre lettere dell’alfabeto, per un totale di 1.218 addetti (155 le donne), reparto “bossoli Chiesa” con 824 addetti (420 donne), reparto “bossoli Gheda” (715 addetti, 210 donne), reparto “montaggio (432 addetti, 27 donne), reparto “mitragliatrici” (1.114 addetti, 250 donne), reparto “collaudo mitragliatrici” (270 addetti, 74 donne). E, ancora, a supporto delle lavorazioni, il reparto falegnameria (170 addetti con 53 donne), reparto “tempera” con 202 addetti di cui 41 donne, reparto “fucine” con 86 addetti, di cui 4 donne come manovali, il pesante reparto “presse” con 615 addetti fra cui ben 96 donne e il reparto “ramai” con altri 122 addetti fra cui 5 cottimiste.

La Metallurgica Bresciana è dunque pronta con immediatezza a rispondere allo sforzo produttivo richiesto dalla guerra: una prontezza che consisteva nel fatto che essa continua a costruire quelle stesse armi che aveva già realizzato in gran numero negli anni precedenti. In secondo luogo, come si sottolinea in alcune brochures promozionali del 1914, “le officine della Metallurgica Bresciana già Tempini sono situate a breve distanza dalla stazione ferroviaria, con la quale sono allacciate per mezzo di un proprio binario, venendo pel tal modo a trovarsi in immediata, facile e rapida comunicazione con la grande linea ferroviaria Venezia-Milano-Torino”, mentre non mancavano “speciali macchine per le prove meccaniche dei metalli” e “un ben arredato gabinetto chimico e metallografico”.

Così la Fiat fa giungere alla Metallurgica fra il 1915 e il 1918 ordini per ben 37.300 mitragliatrici “Modello Fiat 1914”, ovvero tutte le mitragliatrici costruite in Italia in quegli anni. Brescia ne diviene la capitale, tanto che nel marzo del 1916 si apre in città (presso l’attuale istituto Pavoni e sede dello Ial Cisl) l’unica scuola italiana per la formazione dei soldati mitraglieri da inviare al fronte.

Il sito produttivo è naturalmente ben noto ai nemici, coi quali sino a poche settimane prima non era mancata una fitta relazione. Non è un caso, quindi, che l’opificio costituisca l’obiettivo del primo bombardamento aereo della storia bresciana. Alle sei del mattino del 25 agosto 1915, sopra la fabbrica volteggia un aeroplano austriaco che lascia cadere sull’impresa alcune bombe, causando sei morti e numerosi feriti fra gli operai al lavoro.

Con la fine delle ostilità per la fabbrica iniziano le difficoltà. Nel breve volgere di due mesi sono licenziati ben 5.000 addetti.

Questa fotografia e le altre pubblicate su "bresciastorica.it" sono presenti nel libro fotografico "Brescia Antica" edito dalla Fondazione Negri.

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