La comodità della Brescia scomparsa

L’immagine, scattata intorno agli anni venti del Novecento, documenta un angolo del quartiere medievale delle Pescherie, demolito per far posto a Piazza Vittoria. Lavatoi e orinatoi sono il simbolo di abitudini scomparse dalla quotidianità della città, lungo questo che al tempo si chiamava vicolo s. Ambrogio.

Queste strutture costituiscono per la Brescia dei nostri avi parte abituale del panorama urbano. Nell’anno 1882 con il rudimentale acquedotto (detto al tempo “canale maestro delle fontane”) e con una primitiva trama di derivazioni, era possibile alimentare 999 fontane che erogavano acqua a getto continuo (di cui ben 890 private), accanto ad altre 690 fontane dette “a spina chiusa” (di cui 7 in edifici pubblici).

Ma questi manufatti potevano costituire a loro volta elemento distributivo: in città, infatti, le citate fontane dette “di acqua prima”, fornivano l’acqua con i loro scarichi ad altre 600 fontane dette “di acqua seconda o terza”, fra cui si numeravano molti lavatoi dove lavare (e lavarsi). Nella città in cui non esiste ancora un acquedotto degno di questo nome, rimane marcata l’ineguaglianza per quanto riguarda la qualità dell’acqua, secondo una frontiera difficile da tracciare ma assai evidente, dettata dalla povertà che si rifletteva sui diversi modi di procacciarsi il liquido vitale e di farlo giungere nei bagni.

Come si scriveva ancora nel 1884, in Brescia, “nella così detta città dalle limpide fonti, l’acqua potabile non è che un privilegio di un terzo delle sue case … contrade intere sono costrette a questuare un secchiello d’acqua a qualche fortunato detentore di una fontana, e così l’uso dell’acqua scarseggia e con esso, di conseguenza, l’igiene de’ cittadini. Quanto e quante volte non si ricorre all’acque impure nelle fontane di secondo e terzo getto, piuttosto che muovere a lontana ricerca.”

Con l’avvio del nuovo acquedotto cittadino, inaugurato nel 1902, la disponibilità di acqua anche ai piani superiori consente la presenza dei primi Wc, anche se non ancora allacciati a fognatura. Ad approfittarne è la Ditta Giacomo Togni, con sede nell’attuale Corso Garibaldi (il figlio Giulio sarà il più importante industriale siderurgico della Brescia novecentesca), la cui pubblicità lo segnala fornitore del Regio Governo e delle Ferrovie, ma pure per comuni cittadini, di “water closet di lusso e comuni, latrine ed orinatoi, toilettes a bilico a sistema inglese”.

Anche dopo l’entrata in funzione del nuovo acquedotto, nel 1902, si torna però a meditare circa il destino di fontanelle e vasche, lavatoi, orinatoi e fontane ornamentali. In città, nell’anno 1907, si registravano 110 fontane pubbliche (66 nel centro e 44 nelle frazioni, fra quelle “a deflusso continuo e deflusso intermittente”), a cui si aggiungevano 12 lavatoi – uno è quello di questa fotografia – pubblici a getto continuo, per un totale erogato di circa 49 litri al secondo.

Accertato come la presenza delle fontane storiche costituisca ormai poco più che segno dell’arte cittadina, si tratta di ragionare nei dintorni della utilità (e costo) delle fontane aperte al consumo della cittadinanza, ai lavatoi ed agli orinatoi che costituiscono problema anche di igiene urbana.
Il giorno 20 agosto 1933, il quotidiano “Il Popolo di Brescia”, diretto da Alfredo Giarratana, che è contemporaneamente presidente dell’Azienda dei Servizi Municipalizzati, dedica ampio spazio al tema, narrando con precisione ed una certa dose di sussiego l’intricato mondo della rete idrica cittadina, formata da una città che, accanto a circa 5.000 contatori privati, “ha nel suo seno 117 fontanelle a colonna, 20 a muro e 4 per lavatura erbaggi; 21 fontane monumentali pubbliche e 29 a muro; in totale nelle vie e nelle piazze cantano giorno e notte 191 fontane. Inoltre, sempre in pubblico servizio, l’acqua passa in 33 lavatoi all’aperto e in 40 (fra cui alcuni a spina chiusa) nelle case impiegatizie e popolari, 2 abbeveratoi, 13 gabinetti pubblici, 58 vespasiani, 39 fonti in fabbricati scolastici, asili, palestre, ecc., 7 in magazzini e rimesse, 6 in chiese, musei, monumenti, ecc., 3 in macello, cimitero e bagno pubblico, 8 in uffici (Tribunale, Archivio, Ateneo, ecc.), 20 in case di abitazione e di custode, cursori”.

Gradatamente gli orinatoi ed i lavatoi vengono smantellati. Brescia è un panorama urbano in cui, nell’estate del 1948 funzionano ancora (e preoccupano la Municipalizzata) ben 78 lavatoi con 453 bocche d’acqua, 170 fontanelle, 30 fontane ornamentali e monumentali, 62 latrine ed orinatoi, 140 idranti, per un consumo che sfiora i 100 litri al secondo. Un numero che non decresce nemmeno nei primi anni Cinquanta, segnalando anzi alcune fontanelle in più ed un maggior numero di lavatoi pubblici, in attesa che un nuovo elettrodomestico, la lavatrice, entri nelle case dei bresciani.

Questa fotografia e le altre pubblicate su "bresciastorica.it" sono presenti nel libro fotografico "Brescia Antica" edito dalla Fondazione Negri.

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