Brescia a pedali: dal velocimano alla bicicletta

L’immagine fa parte dell’album dei ricordi di ogni città, riproposta in silenti film d’epoca o nelle vetuste cartoline color seppia. Qui il fotografo Negri immortala le corse ciclistiche svoltesi sul circuito in terra battuta di Campo Marte la domenica 6 settembre 1903, in alternanza a gare ippiche sul medesimo percorso.

Brescia vanta, a inizio Novecento, una già lunga confidenza con le due ruote. Alla fine del 1876 due ruote zigzaganti scorazzavano per le polverose vie di Brescia il primo passeggero di una bicicletta, veicolo mai visto prima all’ombra del Cidneo. A “folle velocità” il mezzo percorse qualche centinaia di metri, seminando il panico ma raccogliendo anche una vasta curiosità. E’ il 1875 quando nasce, quarto in Italia, il Veloce Club Bresciano, presieduto dal ventenne, poi noto avvocato e politico, Tito Baresani.

Viene pure aperta una scuola, presso la Crociera di San Luca: ad insegnare ad andare in velocipede il maestro Alfonso Pastori, segretario del locale Veloce Club, fra i fondatori anche della Forza e Costanza e vero e proprio eroe del ciclismo nostrano, noto per essere partito da Brescia il 13 settembre 1878 per raggiungere, dopo sette giorni, la capitale Roma a bordo del suo rudimentale biciclo.

La Forza e Costanza organizza nel 1888 la prima gara ciclistica locale, sul tracciato Brescia – Montichiari – Castiglione, anche se la bicicletta è soprattutto mezzo di divertimento. Nel 1882 nasce a Brescia la “Società dei velocipedisti dilettanti”, con sede presso “l’Osteria della Corona”, nello stesso anno in cui il locale “Veloce Club” organizza brevi gare sui viali polverosi della circonvallazione.

Il numero delle biciclette cresce rapidamente e già nel 1892 il Consiglio comunale di Brescia si interroga nuovamente circa la possibilità di regolare la circolazione dei velocipedi, ritenuta da alcuni addirittura “inutile e pericolosa” e per la quale si chiede il divieto di circolazione “al di qua della via di circonvallazione interna”.

Non tutti erano d’accordo, e proponevano solamente il divieto – salvo che per il caso di sola spinta a mano – “sotto i portici e nei giardini pubblici del velocimano ad una ruota grande ed una piccola”, rinvenendone in esso “non un semplice trastullo, ma mezzo di locomozione e di trasporto praticamente utile”. Viene inoltre fissata la velocità massima, pari a 12 Km orari o, meglio, “ad un piccolo trotto di cavallo”.

In città nel 1894 cinque sono i venditori di biciclette, così segnalati per la prima volta; nel 1900 sono attivi 10 “noleggiatori di biciclette”, anno in cui i costruttori dichiarati sono divenuti ben 11. Vi è il bel negozio di Aristide Delaini in Corso Palestro, negoziante di biciclette ed accessori, “rappresentante di case estere e nazionali”, oltre che di macchine da cucire, che mette in bella evidenza nella sua carta intestata un simpatico modello di bicicletta.

Alla fine dell’Ottocento vi è pure la ”Agenzia Ciclistica” di Edoardo Quaglieni in corso Magenta, che rammenta come “il più esigente ciclista può trovare presso questa Agenzia tutto ciò che è il prodotto dei più recenti progressi dell’industria ciclistica”, nell’orgoglio di proporre le biciclette marca “Orio” e “Marchand” definite “il maggior trionfo dell’industria nazionale e che hanno ormai raggiunto il massimo della perfezione”.

Si familiarizza, dunque, con quello che il quotidiano cittadino “La Sentinella bresciana” chiama ancora nel 1898 “il destriero d’acciaio”. E non servono grandi spiegazioni sociologiche per rammentare tutta l’importanza che per generazioni, e sino alla motorizzazione di massa del secondo dopoguerra, la bicicletta ha rivestito nella quotidianità delle famiglie. In città come in campagna la “spicciola” ha rappresentato spesso l’unico mezzo di trasporto, solitario girare di pedali sotto la pioggia o il sole, o allegro cicaleccio comunitario in sciami di ronzanti ruote fra casa e lavoro.

Fra le prime aziende per la fabbricazione di biciclette a Brescia si segnala, il laboratorio di Virginio Benedetti, che nel maggio del 1894 aveva scalato la Maddalena e che già nell’ottobre del 1895 aveva brevettato un suo “attacco pneumatico per biciclette” mettendo in vetrina proprie realizzazioni e adattamenti della marca Prinetti e Stucchi.

E’ forse il primo fabbricante che già nel 1898 propone l’applicazione di gomme cave ai cerchioni delle ruote, che la pubblicità del tempo descrive come “coscienziosamente raccomandabili ai ciclisti che vogliono evitare le noie causate dalle gomme pneumatiche e dare il massimo della scorrevolezza alla propria macchina”. Ed è sempre lui che, proprio nel 1903, anno nel quale venne scattata la nostra fotografia, lancia sul mercato il “velocipede Principessa Jolanda”, contando sul patriottismo savoiardo bresciano.

Proprio durante l’Esposizione del 1904 si tiene in città il Raduno nazionale Audax, che porta a Brescia ben 2.234 ciclisti a sfilare per le vie del centro, mentre 42 ciclisti partono da Brescia per raggiungere Parigi – con cappello alla boera e nastro tricolore – in sei soli giorni. La bicicletta è ora strumento, così i giornali del tempo, “per incitare i deboli ed i dubbiosi a tentare una prova marziale, /…/ per uscire dalla numerosa falange dei ciclisti ordinari che hanno per méta delle loro gite domenicali le osterie suburbane”.

Il senso di libertà è grande, se lo stesso Giuseppe Cesare Abba in quel 1904 augurava ai bresciani in bicicletta di “volare sulle loro macchine da un capo all’altro della Patria”.

Questa fotografia e le altre pubblicate su "bresciastorica.it" sono presenti nel libro fotografico "Brescia Antica" edito dalla Fondazione Negri.

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