Sui ronchi al “Casinetto svizzero”

Nella straordinaria immagine di Negri una emozionante veduta del Castello e della città da via S. Gaetanino nell’anno 1903. Lo scatto appartiene alla più caratteristica veduta delle città storiche italiane, ovvero i colli oltre le mura in rovina. Al centro il complesso della chiesa di san Pietro e sulla destra il Casinetto Svizzero, dal primo decennio del Novecento divenuto “Caffè Ristorante Vittoria”, con le distinguibili architetture di sentore alpino (sul retro di un biglietto pubblicitario si legge pure “Gran salone per banchetti e servizio sposalizi”).

Le architetture sono del tutto simili all’altro esercizio pubblico – non a caso chiamato Chalet – posto all’ingresso pedonale del Castello. Rispetto ad altri “trani” la differenza è squisitamente costruttiva: lo chalet è fatto di legno, anche se le sue dimensioni raggiungono quelle di un villino, e si notano le decorazioni traforate agli spioventi. Una tipologia simile a quella esistente all’inizio del mercato del bestiame, in quello che, alla sua distruzione nel 1907, diverrà il nuovo quartiere di Campo Fiera.

Impossibile tracciare le mappe storiche in grado di rammemorare la lunga storia dei bar e ritrovi pubblici della città. Una dinamica sempre diversa, aperture e chiusure che ogni anno hanno modificato il panorama delle abitudini urbane. Ma certamente ogni zona della città aveva il proprio punto di riferimento. In Piazzale Arnaldo (così chiamato dal 1897), già Porta Torlonga e successivamente Porta Venezia, all’incrocio con via Trieste, era aperta la vecchia trattoria “al Pavone” demolita nell’anno 1964.

In centro era noto il “Caffè della Rossa” aperto in Corso Palestro e chiuso nell’anno 1928. In Corso Zanardelli, oltre all’esclusivo caffè interno all’Albergo Hotel d’Italie, il bel palazzo Guillaime così trasformato nel 1852 dall’ing. Leone Corbolani, vi erano il caffè Centrale (sino al 1911, poi sostituito dal cinema Centrale), il Caffè Roma, erede del Caffè Grande, chiuso nell’anno 1949.

In Corso Umberto I, attuale via Gramsci, era aperto il Caffè del rinomato “Albergo Brescia”, gestito per decenni da Ferruccio Bassanetti ma già aperto nel 1818 col nome di “Albergo Cappello”. Fra le case site a nord di palazzo Loggia in largo Formentone (oggi piazza Rovetta), demolite nell’anno 1939 per lasciar posto ad un nuovo fabbricato per uffici pubblici, è aperto il noto Caffè Cogome, che prese il nome dal vicolo racchiuso fra questo edificio e la stessa Loggia, nei locali che in precedenza avevano ospitato il negozio della salumeria Simonini.

Punto di ritrovo è anche il caffè dell’Hotel Gallo di via Paganora: aperto nell’anno 1838 era sede di partenza delle diligenze a cavallo per la provincia; le stalle vennero sostituite dall’ “Auto-Garage”, ospitando numerosi equipaggi per le prime corse automobilistiche cittadine, mentre nel 1904 vi fu ospite Giacomo Puccini nell’occasione della prima di madame Butterfly. Presso la stazione ferroviaria vi era sempre il tempo di prendere un caffè o un cordiale al “Gran Buffet Stazione”, affidato nella gestione ad un giovane intraprendente che conosce le lingue straniere ed è gerente anche del “Gran Caffè Broletto” in piazza Duomo.

E’ presso i quartieri operai che la concentrazione di osterie e ritrovi è massima. Una vera storia sociale di questi luoghi, ancora tutta da scrivere.
Come ricordava decenni or sono un anziano abitante del quartiere di Campo Fiera, andando a ritroso con la memoria, “di ritrovi era pieno: da Garibaldi ad arrivare a casa Pasotti e al cimitero, per esserci state diciotto o venti osterie e caffè c’eran tutti. Io andavo al caffè Ferri, appena fuori via Milano. Era il bar più grosso, tanti gnari andavano qui. Altri andavano al Vantini, lo facevano andare i fratelli Gino e Emilia. Li andavano i più anziani, i papà, un ambiente tranquillo, non c’era cagnara. Dopo il bar Ferri il migliore era il Maglio di via Sebino, attaccato al quartiere. C’era il caffè Belgio, dove si andava a volte a giocare alla morra, lì andava l’elite, e al contrario, là dove c’è adesso il supermercato, c’era il trani, l’osteria balorda, di bassa plebe. C’era la Pergolina, che praticamente era una stanza della casa di un certo Manzoni, un anarchico quieto, uno che vendeva lì qualche calice di vino abusivamente. Non era un’osteria, ma c’era sempre un agglomerato di gente, così come al licinsì del Bortolo Rossini, anche lui abusivo. C’era anche la trattoria Bertioli, passata poi alle sorelle che chiamavamo ‘le surde’, perché erano lentissime nel servire ai tavoli. In corso Garibaldi c’era l’osteria del Cavallino, dove si radunavano tutti i socialisti, ma di nascosto”.

Questa fotografia e le altre pubblicate su "bresciastorica.it" sono presenti nel libro fotografico "Brescia Antica" edito dalla Fondazione Negri.

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